A pensarci bene tutti cerchiamo di dare un nome alle nostre emozioni; spesso capita che viviamo un’emozione ma non ce ne accorgiamo, siamo totalmente coinvolti e solo tornando a casa ripensiamo continuamente a cosa abbiamo vissuto. Poi capita che le diamo un nome solo quando raccontiamo a qualcuno ciò che abbiamo provato e sentito in quell’istante, magari con quella persona.
Un esempio quasi scontato ma costantemente presente nelle nostre vite sono i primi appuntamenti con una persona che ci piace, prima di incontrarsi il battito cardiaco accelera, aumenta la sudorazione, il nostro corpo ha dei tremori e sentiamo le gambe cedere; poi tutto svanisce quando ci accorgiamo che con quella persona ci troviamo bene, il tempo scorre velocemente e magari siamo tutto il tempo con il sorriso e non guardiamo il cellulare per ore, non ci preoccupiamo del mondo intorno a noi, tutto si blocca per poter vivere intensamente quell’istante, ma nessuno ha pensato all’emozione precisa che si fa spazio dentro di noi.
Sin da piccoli abbiamo iniziato ad apprendere le emozioni con l’aiuto degli adulti per comprendere ciò che stavamo provando e il nome da assegnare poi, dopo aver appreso le emozioni base e aver automatizzato il processo di attribuzione alle varie sensazioni e situazioni, abbiamo smesso di pensare costantemente a cosa stiamo provando un po’ come guidare, tutti le prime volte sono incerti ma con il passare del tempo il nostro cervello non focalizza più l’attenzione sui passaggi da fare o se abbiamo chiuso la macchina; siamo così presi dallo scorrere dalla vita che non ci è permesso fermarci e riflettere su quello che sta accadendo nel momento presente; ce ne accorgiamo solo quando alcune emozioni o alcuni sentimenti li perdiamo, ci abbandonano e lì, proprio in quell’istante, nulla diviene più scontato o automatico ma, apriamo la scatola della memoria e riprendiamo tutti i ricordi. Ci guardiamo dietro e vediamo noi stessi felici o tristi, amareggiati, arrabbiati o gioiosi e pensiamo a come abbiamo fatto a non accorgercene di cosa avevamo tra le mani o di quanti segnali non abbiamo colto.
Negli anni ’70 alcuni psicologi sostenevano che l’essere umano fosse in grado di ragionare in un’ottica logica e razionale, valutando i costi di un’azione o i benefici che si potevano trarre e di conseguenza sceglievano l’alternativa migliore tra tutte perché portava maggior profitto. Ma Damasio, studiando pazienti con delle lesioni cerebrali che impedivano loro di esperire vissuti emotivi, ha dimostrato che erano incapaci di decidere in modo intelligente perché nel nostro cervello, secondo l’autore, vi sono due sistemi che operano sinergicamente tra loro e che non possono essere utilizzati in maniera scissa.
Dunque non possiamo vivere senza provare emozioni e non possiamo agire esclusivamente attraverso una visione razionale della vita. Magari il nostro cervello ha una predominanza alla razionalizzazione ma chiunque di noi prova delle emozioni che alle volte cerca di nascondere ma che tuttavia dovremmo imparare ad ascoltarle perché guidano le nostre decisioni e ci permettono di non vivere di rimpianti.
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